Sicilia ha perso
un figlio per colpa della guerra scatenata dai narcos
E' fitto lo scambio di riflessioni fra ilSubcomandante Insurgente Marcos, leader della lotta zapatista presente nella zona sud del Messico e Javier Sicilia poeta e intellettuale messicano attivo nelle battaglie contro lo strapotere dei narcos.
Uno scambio epistolare che ha il sapore d'altri tempi, dove fra intellettuali si diffondevano mille idee e progetti. In questo caso però, il poeta messicano è stato quasi costretto a condividere la sua esperienza di vita e i suoi progetti con il capo degli indigeni che si ribellano da anni contro l'assoluta mancanza di rispetto dei loro diritti umani. L'occasione, tragica, è arrivata quando uno dei figli di Sicilia insieme ad alcuni suoi amici, è stato ucciso da un commando di killer legato ai trafficanti della droga messicana. Una fatalità. Un episodio come tanti ne succedono in Messico e che si può racchiudere all'interno della sezione 'effetti collaterali' della guerra dei narcos.
Dopo quella vicenda il poeta ha iniziato la sua personale protesta nella città di Cuernavaca. Le proteste oggi contano migliaia di aderenti e un sostenitore speciale come il Subcomandante Marcos.
Sicilia da aprile ha iniziato a manifestare in diverse città del Paese portando alla luce situazioni che in molti in Messico non sapevano nemmeno esistessero.
Dopo aver perso il figlio la sua è divenuta una battaglia contro la "putrefazione del cuore che si è impossessata della mal chiamata classe politica e della classe criminale che ha rotto i suoi codici d'onore", come ha spiegato lui stesso in una lettera senza usare mezzi termini. "Ne abbiamo pieni i coglioni di voi, politici -e quando dico politici non mi riferisco a nessuno in particolare, ma a una buona parte di voi, inclusi quelli che compongono i partiti-, perché con le vostre lotte per il potere avete fatto a pezzi il tessuto della nazione, perché in mezzo a questa guerra mal impostata, mal condotta, mal digerita, questa guerra che ha messo il paese in uno stato di emergenza, siete stati incapaci -a causa della vostra meschinità, dei vostri conflitti, del vostro miserabile strillare, della vostra lotta per il potere- di creare i consensi di cui necessita la nazione per trovare l'unità senza la quale questo paese non avrà via d'uscita; ne abbiamo pieni i coglioni, perché la corruzione delle istituzioni giudiziarie genera la complicità con il crimine e la sua impunità".
Parole che hanno immediatamente colpito il cuore del Sub che non ha esitato a dire la sua. "Felipe Calderón sarà ricordato come un criminale di guerra, non importa se oggi, si dà arie da statista o "salvatore della patria". L'illegalità e l'illegittimità del suo arrivo alla presidenza, i suoi fallimenti politici, le sue responsabilità nella crisi economica, l'essersi circondato di una squadra di picchiatori e guardie del corpo travestiti da funzionari, il nepotismo: tutte le sue figuracce resteranno in secondo piano. Rimarrà la sua guerra, persa, con la sua quota di vittime "collaterali": la sconfitta, il deterioramento e il discredito irrimediabili delle forze armate federali (i vari telefilm potranno fare poco o niente per contrastarlo); la consegna della sovranità nazionale all'impero delle strisce e le torbide stelle (l'abbiamo già detto: gli Stati Uniti d'America saranno gli unici vincitori di questa guerra); l'annichilimento delle economie locali e regionali; la distruzione irreparabile del tessuto sociale; ed il sangue innocente, sempre il sangue innocente".
E Sicilia ha risposto: "La pace, caro Subcomandante, come diceva Gandhi è "la strada", una strada che si percorre solo tutte e tutti insieme. Voi, 17 anni fa, a fianco della società civile, ce l'avete insegnato".
Da Peace Reporter
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