DI EMMA MANCINI
Roma, 03 settembre 2011, Nena News (nella foto, la bara di un soldato americano deceduto in Iraq) – Gli Stati Uniti “festeggiano” con soddisfazione il primo mese senza vittime americane in Iraq dall’invasione del Paese mediorientale, nel marzo 2003. Ma dall’altra parte, la mattanza di civili (e militari) iracheni prosegue con un’intensità. Sono le due facce dello stesso agosto in terra irachena, martoriata da una forte ripresa di violenze e attentati.
I numeri parlano chiaro. Per la prima volta dal caduta di Saddam Hussein, ha annunciato un portavoce dell’esercito Usa, ad agosto le truppe americane non hanno registrato nessuna vittima. Nessuna bara avvolta nella bandiera a stelle e strisce è tornata in patria. “Agosto è stato il primo mese senza morti, né durante i combattimenti né per malattia o incidente – ha spiegato il maggiore Angela Funaro – Tuttavia, avevamo già avuto altri due mesi (dicembre 2009 e ottobre 2010) durante i quali le forze statunitensi non avevano registrato vittime di combattimenti. Ma in questi casi almeno un morto per cause esterne”.
Dall’inizio dell’occupazione militare dell’Iraq, le vittime americane sono state 4.474. Un numero che si moltiplica se si parla dei morti iracheni: secondo l’Iraq Body Count, organizzazione mista inglese e americana che raccoglie le statistiche delle vittime dell’invasione Usa, dal 2003 ad oggi i civili iracheni deceduti a causa delle violenze connesse all’occupazione militare sono stati oltre 100mila.
E ad agosto, il governo di Baghdad è stato costretto a mettere sul tavolo dati ben diversi da quelli forniti da Washington: gli iracheni uccisi sono stati 239, venti in meno rispetto a luglio, ma abbastanza da fare del mese appena trascorso il quarto nell’amara classifica del numero di vittime irachene. Dei 239 deceduti, 155 erano civili, 45 poliziotti e 39 soldati. A luglio le vittime erano state 259: 159 civili, 56 poliziotti e 44 soldati. Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute iracheno, dal primo settembre 2010 al primo agosto 2011 i civili deceduti hanno toccato quota 1.449.
Due gli attacchi più gravi verificatosi ad agosto. Due bombe rivendicate da Al-Qaeda sono esplose il 15 agosto nella città di Kut, nel Sud Iraq: 40 morti. Lo stesso giorno altre 34 persone sono decedute in attacchi simili in diverse città irachene. La scorsa domenica almeno 28 civili sono rimasti uccisi in un attacco suicida nella più grande moschea sunnita di Baghdad.
Una simile escalation di violenza accompagna i negoziati tra Stati Uniti e Iraq per il mantenimento di truppe statunitensi nel Paese dopo la fine del 2011. Attualmente sono 47mila i soldati americani in territorio iracheno. Quello che, secondo fonti del governo di Baghdad, gli Stati Uniti hanno proposto è la cessione all’Iraq di tre basi militari comprensive di tutto l’equipaggiamento necessario, per avere in cambio il mantenimento di 20mila militari americani. Il loro ruolo dovrebbe essere quello di gestire sei basi militari e di addestrare le forze di sicurezza irachene.
Eppure il colonnello Douglas Crissman, commentando il mese senza vittime americane, ha spiegato il record positivo come il frutto della preparazione raggiunta dalle truppe e dalla polizia irachene. Secondo il New York Times, che in un editoriale ha esaminato le potenziali spiegazioni all’assenza di vittime di agosto, la ragione andrebbe cercata nel miglioramento della vigilanza garantita dalle forze di sicurezza irachene, sotto la costante pressione dell’esercito americano. In particolare, le due forze militari si sarebbero concentrate sull’indebolimento delle milizie sciite e sulle cellule di Al Qaeda presenti nel Paese.
Per comprendere la crescente violenza per le strade delle città irachene, va tenuto conto dell’instabilità politica ed economica che sta vivendo da anni il Paese, nonostante elezioni democratiche abbiano permesso la creazione di un governo. Otto anni di occupazione militare si sono tradotti in un disfacimento del Paese, nella perdita di unità nazionale e nello sfacelo del istituzioni politiche e del mercato economico interno.
Corruzione e nepotismo impediscono riforme serie e una reale ricostruzione delle basi dell’economia irachena, affetta dalla mancanza di infrastrutture, vie di comunicazione, reti elettriche e idriche, sistemi fognari, scuole, ospedali. I tassi di povertà e di disoccupazione hanno raggiunto livelli seriamente preoccupanti, mentre la divisione storica tra sunniti e sciiti si è intensificata, esacerbata dalla presenza straniera, ed è divenuto grave ostacolo all’unità nazionale. Nena News
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