La ridefinizione dei rapporti d'affari tra nuovo governo libico e paesi esteri in un'area non ancora stabilizzata, tra giacimenti noti o ancora da esplorare e compagnie petrolifere in competizione.
Di Clifford Krauss
HOUSTON – La lotta a Tripoli non si è ancora conclusa, ma la gara per assicurarsi le riserve di petrolio libiche è già iniziata.
Prima che nel mese di febbraio esplodesse la ribellione, la Libia esportava 1,3 milioni di barili di petrolio al giorno. Sebbene ciò rappresenti meno del 2% delle risorse mondiali, solo pochi altri paesi possono fornire simili quantità di greggio di alta qualità da cui molte raffinerie in tutto il mondo dipendono. La ripresa della produzione libica contribuirebbe all’abbassamento del prezzo del petrolio in Europa e, indirettamente, del prezzo della benzina sulla costa orientale degli Stati Uniti.
Le nazioni occidentali – in particolare i Paesi NATO che hanno fornito il decisivo supporto aereo ai ribelli – vogliono assicurarsi che le loro compagnie siano in prima linea ad estrarre il greggio libico.
Lunedì (22 agosto 2011 NdT) il Ministro degli Affari Esteri italiano Franco Frattini ha dichiarato in televisione che la compagnia petrolifera italiana Eni “avrà un ruolo di primo piano in futuro” nel paese nordafricano. Frattini ha perfino specificato che tecnici Eni erano già in arrivo in Libia orientale per far riprendere la produzione. L’Eni ha poi immediatamente smentito di aver mandato del personale in quella regione ancora instabile, per l’Italia la più grande fonte di petrolio importato.
La produzione libica si è in gran parte interrotta nel corso del lungo conflitto tra le forze dei ribelli e le truppe fedeli al leader libico, il colonnello Muammar Gheddafi.
L’Eni, la britannica BP, la francese Total, la spagnola Repsol YPF e l’austriaca OMV, erano tutte grandi aziende produttrici in Libia prima dello scoppio delle ostilità, e sono pronte ad ottenere il più possibile a conflitto terminato. Anche compagnie americane come Hess, Conoco Phillips e Marathon avevano concluso affari con il regime di Gheddafi, nonostante gli Stati Uniti contino sulla Libia per meno dell’1% delle loro importazioni.
È tuttavia poco chiaro se un governo nato dalle forze ribelli onorerebbe i contratti stipulati dal regime di Gheddafi oppure no e quale approccio seguirebbe nelle trattative riguardanti gli accordi su una nuova divisione della produzione, vista la volontà delle aziende sia di investire in giacimenti già noti, sia di individuarne di nuovi.
Già prima di andare al potere, i ribelli hanno lasciato intuire che si sarebbero ricordati dei loro amici e del loro nemici e che su questa base avrebbero negoziato gli accordi.
“Non abbiamo alcun problema con paesi occidentali come l’Italia, la Francia e il Regno Unito” così avrebbe dichiarato Abdeljalil Mayouf, un portavoce della compagnia libica Agoco, costituita da ribelli, secondo quanto cita Reuters. “Ma potremmo avere qualche controversia politica con Russia, Cina e Brasile”.
Russia, Cina e Brasile non hanno spalleggiato le dure sanzioni contro il regime di Gheddafi e hanno sempre sostenuto una soluzione della rivolta per mezzo di negoziati. Tutti e tre i paesi contano importanti compagnie petrolifere in cerca di affari in Africa.
Lunedì (22/08/2011 NdT) in Europa il prezzo di riferimento del greggio è inizialmente calato sulla scorta dell’ipotesi che la produzione libica sarebbe tornata a crescere rapidamente. I prezzi del Brent sono inizialmente scesi di oltre il 3 per cento, ma la piazza di New York si è chiusa con una loro sostanziale stabilizzazione a 108,42 dollari. Il prezzo di riferimento americano del greggio, meno sensibile agli eventi del Medio Oriente, è salito di 2,01 dollari, a 84,42 dollari.
Il colonnello Gheddafi si è dimostrato un partner problematico per le compagnie petrolifere internazionali, aumentando spesso le tasse e avanzando altre richieste. Un nuovo governo legato da stretti rapporti alla NATO potrebbe essere per i paesi occidentali un socio più facile nella conclusione di accordi. Secondo alcuni esperti le compagnie petrolifere potrebbero, avendo libertà d’azione, trovare in Libia molto più petrolio di quanto potessero localizzarne sotto le restrizioni imposte dal governo di Gheddafi.
Stando agli analisti, è verosimile che le compagnie petrolifere, in particolar modo Total ed Eni, inizieranno un’aspra competizione per accaparrarsi contratti sulle migliori proprietà petrolifere, con i loro rispettivi governi a fare pressione in loro favore. Ma prima di tutto i ribelli dovranno consolidare il controllo sul paese.
“Se manca un contesto stabile e sicuro, chi potrà far tornare il proprio personale nel paese?” ha dichiarato Helima Croft, analista geopolitica di Barclays Capital.
La guerra civile ha costretto le maggiori compagnie petrolifere a ritirare il loro personale, e la produzione è precipitata negli ultimi mesi alla minuscola quantità di 60.000 barili al giorno, secondo l’International Energy Agency. Ciò rappresenterebbe circa il 20% del normale fabbisogno interno del paese. I ribelli sono riusciti ad esportare una modesta quantità di greggio immagazzinato nei porti e a venderla in cambio di contanti sui mercati internazionali attraverso il Quatar.
Gli analisti avvertono che ci potrebbe volere un anno perché la Libia effettui le riparazioni e riporti i suoi giacimenti a pieno regime di produzione, sebbene una parte delle esportazioni potrebbe riprendere in capo a un paio di mesi.
Poiché il petrolio è di gran lunga la più importante risorsa economica libica, qualsiasi nuovo governo dovrebbe considerare la produzione di petrolio con priorità massima. Ciò significherebbe stabilire condizioni di sicurezza sui più importanti giacimenti, oleodotti, raffinerie e porti. Il governo avrebbe anche bisogno di stabilire rapidamente dei rapporti con le compagnie petrolifere straniere, alcune delle quali, durante il conflitto, hanno trattato sia con i ribelli, sia con il colonnello Gheddafi, per valutare tutte le possibilità.
La maggior parte delle compagnie petrolifere coinvolte in Libia ha evitato di rilasciare commenti, altre hanno dichiarato che avrebbero aspettato per vedere l’evoluzione della situazione dal punto di vista della sicurezza, prima di mandare il loro personale nel paese.
“È chiaro che stiamo monitorando la situazione come tutti”, ha detto Jon Pepper, uno dei vicepresidenti della Hess. “Ovviamente è un contesto che deve stabilizzarsi lì, prima che si possa pensare di riprendere la produzione”.
L’Italia negli ultimi anni si è appoggiata alla Libia per oltre il 20% delle importazioni di petrolio. La Francia, la Svizzera, l’Irlanda e l’Austria dipendevano dalla Libia per oltre il 15% delle loro importazioni, prima che iniziasse il conflitto.
L’importanza della Libia per la Francia è stata sottolineata lunedì (22/08/2011 NdT), quando il presidente Nicolas Sarkozy ha invitato il capo del Consiglio Nazionale di Transizione, Mustafa Abdel-Jalil, a Parigi per un colloquio.
Sebbene gli Stati Uniti si appoggino molto poco alla Libia per le importazioni, la riduzione di greggio di alta qualità sui mercati mondiali ha fatto schizzare anche per gli americani i prezzi di petrolio e carburante.
Secondo gli analisti, molti rapporti delle compagnie di servizi per il petrolio, che hanno continuato a pagare le loro squadre libiche durante la guerra, indicano che c’è stato un danno relativamente ridotto alle strutture. Ciò lascia intendere che l’incremento della produzione sia questione di settimane.
Tuttavia, la ripresa delle esportazioni su larga scala dipenderà dalla velocità delle riparazioni ai terminali di Ras Lanuf, Melitah ed Es Sider e dalla capacità del nuovo governo di garantire la sicurezza di giacimenti e oleodotti in aree che tradizionalmente supportavano il vecchio regime.
Le chiusure affrettate dei pozzi, quando a febbraio si è diffusa la lotta, insieme con la mancanza di manutenzione negli ultimi mesi potrebbero significare che ci vorranno mesi di riparazioni, specialmente nei giacimenti più vecchi e sfruttati.
L’esperienza di altre nazioni nella regione consiglia prudenza. I disordini politici in Iran hanno fatto contrarre la produzione per decenni, osservano gli analisti, e ci sono voluti otto anni alla produzione petrolifera irachena per recuperare dopo l’invasione, condotta dagli americani, che fece cadere Saddam Hussein.
Il presidente dell’Eni Giuseppe Recchi ha recentemente dichiarato agli analisti che servirà forse un anno per riportare la Libia ai suoi normali livelli di esportazione. Lunedì (22 agosto 2011 NdT) ha smentito che la sua compagnia avrebbe fatto tornare nell’immediato del personale, ma ha anche detto ai giornalisti che si aspetta che il nuovo governo libico onori gli accordi già esistenti con l’azienda.
Da Peace Link
Prima che nel mese di febbraio esplodesse la ribellione, la Libia esportava 1,3 milioni di barili di petrolio al giorno. Sebbene ciò rappresenti meno del 2% delle risorse mondiali, solo pochi altri paesi possono fornire simili quantità di greggio di alta qualità da cui molte raffinerie in tutto il mondo dipendono. La ripresa della produzione libica contribuirebbe all’abbassamento del prezzo del petrolio in Europa e, indirettamente, del prezzo della benzina sulla costa orientale degli Stati Uniti.
Le nazioni occidentali – in particolare i Paesi NATO che hanno fornito il decisivo supporto aereo ai ribelli – vogliono assicurarsi che le loro compagnie siano in prima linea ad estrarre il greggio libico.
Lunedì (22 agosto 2011 NdT) il Ministro degli Affari Esteri italiano Franco Frattini ha dichiarato in televisione che la compagnia petrolifera italiana Eni “avrà un ruolo di primo piano in futuro” nel paese nordafricano. Frattini ha perfino specificato che tecnici Eni erano già in arrivo in Libia orientale per far riprendere la produzione. L’Eni ha poi immediatamente smentito di aver mandato del personale in quella regione ancora instabile, per l’Italia la più grande fonte di petrolio importato.
La produzione libica si è in gran parte interrotta nel corso del lungo conflitto tra le forze dei ribelli e le truppe fedeli al leader libico, il colonnello Muammar Gheddafi.
L’Eni, la britannica BP, la francese Total, la spagnola Repsol YPF e l’austriaca OMV, erano tutte grandi aziende produttrici in Libia prima dello scoppio delle ostilità, e sono pronte ad ottenere il più possibile a conflitto terminato. Anche compagnie americane come Hess, Conoco Phillips e Marathon avevano concluso affari con il regime di Gheddafi, nonostante gli Stati Uniti contino sulla Libia per meno dell’1% delle loro importazioni.
È tuttavia poco chiaro se un governo nato dalle forze ribelli onorerebbe i contratti stipulati dal regime di Gheddafi oppure no e quale approccio seguirebbe nelle trattative riguardanti gli accordi su una nuova divisione della produzione, vista la volontà delle aziende sia di investire in giacimenti già noti, sia di individuarne di nuovi.
Già prima di andare al potere, i ribelli hanno lasciato intuire che si sarebbero ricordati dei loro amici e del loro nemici e che su questa base avrebbero negoziato gli accordi.
“Non abbiamo alcun problema con paesi occidentali come l’Italia, la Francia e il Regno Unito” così avrebbe dichiarato Abdeljalil Mayouf, un portavoce della compagnia libica Agoco, costituita da ribelli, secondo quanto cita Reuters. “Ma potremmo avere qualche controversia politica con Russia, Cina e Brasile”.
Russia, Cina e Brasile non hanno spalleggiato le dure sanzioni contro il regime di Gheddafi e hanno sempre sostenuto una soluzione della rivolta per mezzo di negoziati. Tutti e tre i paesi contano importanti compagnie petrolifere in cerca di affari in Africa.
Lunedì (22/08/2011 NdT) in Europa il prezzo di riferimento del greggio è inizialmente calato sulla scorta dell’ipotesi che la produzione libica sarebbe tornata a crescere rapidamente. I prezzi del Brent sono inizialmente scesi di oltre il 3 per cento, ma la piazza di New York si è chiusa con una loro sostanziale stabilizzazione a 108,42 dollari. Il prezzo di riferimento americano del greggio, meno sensibile agli eventi del Medio Oriente, è salito di 2,01 dollari, a 84,42 dollari.
Il colonnello Gheddafi si è dimostrato un partner problematico per le compagnie petrolifere internazionali, aumentando spesso le tasse e avanzando altre richieste. Un nuovo governo legato da stretti rapporti alla NATO potrebbe essere per i paesi occidentali un socio più facile nella conclusione di accordi. Secondo alcuni esperti le compagnie petrolifere potrebbero, avendo libertà d’azione, trovare in Libia molto più petrolio di quanto potessero localizzarne sotto le restrizioni imposte dal governo di Gheddafi.
Stando agli analisti, è verosimile che le compagnie petrolifere, in particolar modo Total ed Eni, inizieranno un’aspra competizione per accaparrarsi contratti sulle migliori proprietà petrolifere, con i loro rispettivi governi a fare pressione in loro favore. Ma prima di tutto i ribelli dovranno consolidare il controllo sul paese.
“Se manca un contesto stabile e sicuro, chi potrà far tornare il proprio personale nel paese?” ha dichiarato Helima Croft, analista geopolitica di Barclays Capital.
La guerra civile ha costretto le maggiori compagnie petrolifere a ritirare il loro personale, e la produzione è precipitata negli ultimi mesi alla minuscola quantità di 60.000 barili al giorno, secondo l’International Energy Agency. Ciò rappresenterebbe circa il 20% del normale fabbisogno interno del paese. I ribelli sono riusciti ad esportare una modesta quantità di greggio immagazzinato nei porti e a venderla in cambio di contanti sui mercati internazionali attraverso il Quatar.
Gli analisti avvertono che ci potrebbe volere un anno perché la Libia effettui le riparazioni e riporti i suoi giacimenti a pieno regime di produzione, sebbene una parte delle esportazioni potrebbe riprendere in capo a un paio di mesi.
Poiché il petrolio è di gran lunga la più importante risorsa economica libica, qualsiasi nuovo governo dovrebbe considerare la produzione di petrolio con priorità massima. Ciò significherebbe stabilire condizioni di sicurezza sui più importanti giacimenti, oleodotti, raffinerie e porti. Il governo avrebbe anche bisogno di stabilire rapidamente dei rapporti con le compagnie petrolifere straniere, alcune delle quali, durante il conflitto, hanno trattato sia con i ribelli, sia con il colonnello Gheddafi, per valutare tutte le possibilità.
La maggior parte delle compagnie petrolifere coinvolte in Libia ha evitato di rilasciare commenti, altre hanno dichiarato che avrebbero aspettato per vedere l’evoluzione della situazione dal punto di vista della sicurezza, prima di mandare il loro personale nel paese.
“È chiaro che stiamo monitorando la situazione come tutti”, ha detto Jon Pepper, uno dei vicepresidenti della Hess. “Ovviamente è un contesto che deve stabilizzarsi lì, prima che si possa pensare di riprendere la produzione”.
L’Italia negli ultimi anni si è appoggiata alla Libia per oltre il 20% delle importazioni di petrolio. La Francia, la Svizzera, l’Irlanda e l’Austria dipendevano dalla Libia per oltre il 15% delle loro importazioni, prima che iniziasse il conflitto.
L’importanza della Libia per la Francia è stata sottolineata lunedì (22/08/2011 NdT), quando il presidente Nicolas Sarkozy ha invitato il capo del Consiglio Nazionale di Transizione, Mustafa Abdel-Jalil, a Parigi per un colloquio.
Sebbene gli Stati Uniti si appoggino molto poco alla Libia per le importazioni, la riduzione di greggio di alta qualità sui mercati mondiali ha fatto schizzare anche per gli americani i prezzi di petrolio e carburante.
Secondo gli analisti, molti rapporti delle compagnie di servizi per il petrolio, che hanno continuato a pagare le loro squadre libiche durante la guerra, indicano che c’è stato un danno relativamente ridotto alle strutture. Ciò lascia intendere che l’incremento della produzione sia questione di settimane.
Tuttavia, la ripresa delle esportazioni su larga scala dipenderà dalla velocità delle riparazioni ai terminali di Ras Lanuf, Melitah ed Es Sider e dalla capacità del nuovo governo di garantire la sicurezza di giacimenti e oleodotti in aree che tradizionalmente supportavano il vecchio regime.
Le chiusure affrettate dei pozzi, quando a febbraio si è diffusa la lotta, insieme con la mancanza di manutenzione negli ultimi mesi potrebbero significare che ci vorranno mesi di riparazioni, specialmente nei giacimenti più vecchi e sfruttati.
L’esperienza di altre nazioni nella regione consiglia prudenza. I disordini politici in Iran hanno fatto contrarre la produzione per decenni, osservano gli analisti, e ci sono voluti otto anni alla produzione petrolifera irachena per recuperare dopo l’invasione, condotta dagli americani, che fece cadere Saddam Hussein.
Il presidente dell’Eni Giuseppe Recchi ha recentemente dichiarato agli analisti che servirà forse un anno per riportare la Libia ai suoi normali livelli di esportazione. Lunedì (22 agosto 2011 NdT) ha smentito che la sua compagnia avrebbe fatto tornare nell’immediato del personale, ma ha anche detto ai giornalisti che si aspetta che il nuovo governo libico onori gli accordi già esistenti con l’azienda.
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