Reichlin: schiavi del denaro, nel vuoto della non-politica

ago 4, 2011 0 comments
L’avatar di Berlusconi che davanti al Parlamento balneare dice che va tutto bene, Bersani che replica che «le banche vanno male perché le aziende vanno male, e il mondo lo sa», e poi Casini, l’unico che propone qualcosa (a parte la sostituzione del premier): tanto vale, dice, bere subito la medicina amara dei super-tagli di Tremonti, imposti da Bruxelles ma assurdamente posticipati al 2013. Un funerale in diretta, a reti unificate: nessuna soluzione per uscire dalla crisi. Nessuna diagnosi, a parte la rituale condanna del Cavaliere ad personam. E soprattutto, nessuna alternativa: stando ai partiti che siedono in Parlamento, domani l’Italia avrà di fronte la stessa non-politica di oggi, al massimo emendata dall’ingombro dell’uomo di Arcore. Più che altrove, a Roma si riflette quello che Alfredo Reichlin chiama «il vuoto mondiale».
Già dirigente del Pci e giornalista alla guida dell’“Unità”, Reichlin avverte: «I cittadini, compresi i politici, sono tutti uguali di fronte alla legge, e chi Alfredo Reichlinsbaglia paga. Ma il punto non è solo questo», perché «c’è sul tappeto un qualcosa di più ampio e più complesso della “questione morale”». Sembrano quasi-ovvietà, ma diventano lampi di illuminazione di fronte allo spettacolo televisivo che Camera e Senato hanno offerto il 3 agosto 2011. «Da tutto ciò che accade emerge l’estrema debolezza della politica», dice Reichlin su “L’Unità”. «Stiamo attenti, è la democrazia parlamentare che viene messa in discussione: quel che ormai si intravede dietro le ondate speculative e dietro la sconfitta di Obama è il vuoto pauroso della politica anche a livello mondiale; il che spiega questo misto di angoscia e di impotenza, questo timore di una possibile catastrofe che domina gli animi».
Il problema? E’ «l’enormità del potere che si è concentrato nelle mani di una ristretta oligarchia, del tutto esonerata da ogni responsabilità politica e morale». Ecco il cuore della questione: «Chi comanda? Stiamo attenti, perché il problema che sta ormai venendo in discussione è se globalizzazione economica, democrazia politica e diritti delle persone siano conciliabili tra loro». Altri analisti, da Marino Badiale a Giulietto Chiesa per citare solo alcuni fra gli italiani, hanno già concluso negativamente: questa globalizzazione non è affatto conciliabile coi diritti, anzi: ne decreta l’eclissi, spoglia le comunità nazionali di sovranità e le consegna a caste politiche a loro volta ostaggio di élites finanziarie onnipotenti e pericolose, senzaMarino Badialescrupoli, pronte a far pagare a milioni di persone il prezzo irresponsabile della loro avidità speculativa.
Un movimento come “Alternativa”, consonante con il cartello “Uniti e diversi”, gli intellettuali della Decrescita, economisti “eretici” e sindacalisti della Fiom, suona l’allarme rosso: venuta meno la sinistra come opposizione sociale, e naufragati i riformisti di tutta Europa al rimorchio della Bce, del Fondo Monetario Internazionale e dell’America alle prese con la crisi più acuta di tutta la sua storia, il rischio è che la stragrande maggioranza di cittadini dell’Occidente si ritrovi interamente sulle proprie spalle l’immensità del debito – reale e finanziario, dilatato dalle lobby mondiali del turbo-capitalismo degli ultimi decenni – senza più disporre neppure di un “sindacato” in grado di far valere le ragioni elementari di lavoratori, contribuenti e risparmiatori, pensionati, giovani a cui è stato “scippato” il futuro.
Di qui l’insofferenza crescente verso la “casta” autistica dei partiti, il successo della cosiddetta “antipolitica”, le vittorie spiazzanti dei referendum e la resistenza civile contro le “grandi opere inutili” come la Tav Torino-Lione, antipasto delle battaglie in arrivo, in quello che si annuncia come l’autunno più caldo di sempre, che a quanto pare l’Italia dovrà affrontare col governo del Cavaliere, ormai inviso a tre italiani su quattro e scaricato persino dai “salotti buoni” dell’industria e della finanza. «È evidente che a fronte dello sfascio di ogni statualità e di ogni dignità internazionale del Paese non si potrà guidare l’Italia senza mettere in campo un nuovo progetto nazionale», dice ancora Reichlin. «Occorrerà una politica, unaBersanigrande politica, quindi una nuova idea di società».
L’anziano intellettuale del Pci intende lanciare un “avvertimento” innanzitutto al Pd, che – nonostante tutto – individua ancora come l’interlocutore naturale per una possibile alternativa, evocando un “cambio di paradigma” di cui però nel partito di Bersani non c’è traccia: mentre i magistrati inseguono la pista delle “tangenti rosse” che potrebbe inguaiare Penati, spingendo il segretario a invocare la presunta “diversità politica” del partito, i suoi uomini continuano a parlare di “crescita” – come Montezemolo, la Marcegaglia, Marchionne, Casini, Berlusconi e tutti gli altri – senza mai neppure avvicinarsi, per sbaglio, a quello che potrebbe sembrare un “piano-B”, di fronte a un’emergenza globale che in Italia sarà anche travisata dalla maschera del Cavaliere, ma che in tutto il mondo si rivela ogni giorno di più come la crisi, forse definitiva, di un ciclo capitalistico di oltre due secoli, fondato sulla dottrina della crescita illimitata grazie al predominio tecnologico-militare dell’Occidente e alla “rapina” delle risorse mondiali. 
A differenza dei dirigenti del Pd, rassegnati al fatalismo della congiuntura e pronti al massimo a prendersela con l’uomo di Arcore, Alfredo Reichlin individua cause più precise, cominciando a circoscrivere la diagnosi: «Il mondo – scrive, sempre su “L’Unità” del 3 agosto – comincia solo ora a misurare il costo enorme e il carattere catastrofico della decisione presa dalla destra angloamericana negli anni ‘70, cioè quella di consentire ai capitali di circolare interamente senza alcun condizionamento politico e sociale, e obbedendo solo alle logiche del mercato finanziario». Anche Reichlin oggi ammette quello che molti osservatori lontani dai partiti wall streetdenunciano da anni: «È avvenuta così una trasformazione genetica della finanza: da infrastruttura funzionale all’economia reale a industria in sé».
Questa, aggiunge Reichlin, è stata la vera novità: il denaro fatto sempre più con il denaro. «La sovranità, cioè quel potere dei poteri per cui spettava solo agli Stati battere moneta, è passata in larga parte nelle mani di una oligarchia privata. Conseguenza: un’alluvione di titoli e strumenti finanziari fasulli dietro i quali non c’è niente. E quindi debiti, e quindi rendite che gravano sul lavoro e sulla ricchezza reale, e quindi sempre più consumi privati al posto dei beni pubblici. E quindi i ricchi che diventano più ricchi e i poveri che devono rinunciare alla protezione sociale». Un’analisi lucida, precisa. Che richiederebbe una risposta pratica, sul piano politico. Risposta di cui, tra le “anime morte” dell’attuale Parlamento, non s’è ancora vista traccia.
«Il fatto a cui noi stiamo assistendo – continua Reichlin – è una sorta di fallimento delle attuali classi dirigenti», una schiera di capi politici che in Europacome in America “appaiono incapaci di gestire gli immensi debiti accumulati e brancolano come ubriachi sul ciglio dell’insolvenza”, come scrive il “Financial Times”. «Ma io non credo che si tratti solo della pochezza degli uomini», precisa ancora Reichlin: «Si sta sfarinando la concreta architettura con cui è stato finora guidato il processo della globalizzazione», a partire proprio dal super-potere in teoria più forte, quello statunitense: «Si è consumata così anche l’egemonia americana. Obama tre anni fa ha salvato le grandi banche con un mare di denaro pubblico. Adesso, per evitare il crack del bilancio, ha chiesto ai ricchi un po’ di tasse per salvare qualcosa Obamadella spesa sociale. Gli hanno risposto di no».
E se l’America non sembra più in grado di svolgere «quel ruolo di stabilizzatore dell’economia mondiale che aveva svolto finora», in Italia «siamo intrappolati in un circuito perverso», visto che «gli interessi che dobbiamo pagare per sostenere il debito pubblico si mangiano quel poco che resta della nostra crescita». Qui, Reichlin si ferma: «Dobbiamo quindi crescere di più», conclude. «Ma per farlo – ammette – dovremmo investire su scuola, ricerca, servizi, capitale umano»: tutte cose per cui «mancano i soldi». Gli intellettuali della Decrescita dicono: inutile replicare frustrazioni, è il momento di ripensare l’economia non più in termini di crescita cieca dei consumi, ma di conquista del benessere reale – che non ha a che fare col Pil ma, al contrario, si concilia con la contrazione degli sprechi come quelli energetici: autoproduzione energetica e conversione ecologica dell’edilizia basterebbero da sole a generare tanto lavoro da superare l’attuale fase acuta.
Senza arrivare a queste conclusioni, Reichlin riconosce che «è giunta l’ora di un salto di qualità», e – pensando sempre, ostinatamente, al Pd – parla dello «sforzo già in atto di organizzare un nuovo soggetto politico». All’Italia, insiste Reichlin, serve una nuova formazione politica che funga da «strumento di una nuova alleanza tra le forze più creative del lavoro, dell’intelligenza e dell’impresa, e cioè delle forze che pagano il prezzo di tutto ciò». Per l’anziano leader riformista, al di là delle formule e delle traduzioni possibili nell’attuale disastrato scenario, è «il coraggio dell’innovazione» che bisogna mettere in campo: «Qualcosa di analogo a ciò che fecero Roosevelt e alcune socialdemocrazie europee nell’altra grande Cremaschicrisi, quella degli anni ‘30», quando fu lo Stato a impegnarsi direttamente per sostenere l’economia, tenendo in piedi società che ancora puntavano tutto sulla crescita, sull’espansione, e non sull’equilibrio tra consumi e risorse.
La parola “patrimoniale” non è stata pronunciata esplicitamente da nessuno nelle orazioni funebri del Parlamento balneare in disarmo, eppure – per leader sindacali come Giorgio Cremaschi – la tassazione dei super-privilegiati e delle rendite finanziarie è l’unica possibile soluzione per evitare la rivolta sociale dei tartassati. «Ora basta: spetta ai ricchi pagare la decrescita che ci attende», dice Marino Badiale di “Alternativa”. Problema: nessuno dei partiti rappresentati in Parlamento sembra essere di questo avviso; preferiscono tutti parlare delle malefatte del Cavaliere, e magari applaudire Marchionne e la Marcegaglia. Per questo sono così preziose le parole di Reichlin, rivolte innanzitutto ai dirigenti del Pd, ovvero ai loro elettori: «Noi non dobbiamo cercare il potere per il potere, dobbiamo riformare la società per dare potere alla nuova umanità che si sta formando e che deve tornare a impadronirsi della propria vita».

Da Libre

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