Di Tonino Perna
Dietro il caos finanziario di questi giorni ci sono i grandi fondi speculativi che colpiscono l’euro per salvare il dollaro. La battaglia per un nuovo ordine monetario è avviata. Perché non pensare a monete locali da affiancare all’euro?
Perché la speculazione finanziaria si è accanita nei confronti dei paesi del sud Europa? Perché non ha attaccato il Giappone, per esempio, che ha un debito pubblico pari a due volte il Pil? Oppure il più grande debito pubblico del mondo, quello a stelle e strisce? E ancora: se è vero che grandi banche Usa posseggono titoli di Stato dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), quale interesse hanno a vedere fallire questi Stati? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza in mezzo al panico finanziario che sta buttando nell’angoscia, anticamera della disperazione, decine di milioni di cittadini europei.
Dobbiamo ricordare che pochi e potenti hedge fund (fondi speculativi) – quelli di Soros, Paulson, ecc – controllano un flusso di denaro impressionante e indirizzano la grande speculazione quanto i piccoli risparmiatori. Come avviene in politica, così nel mondo nella finanza sono pochi opinion leader che determinano le scelte della maggioranza (dei votanti quanto degli investitori/speculatori). Ora, si dà il caso che proprio i grandi fondi speculativi hanno i loro asset in dollari e che abbiano avuto un terrore infernale quando nell’autunno 2008 il dollaro stava crollando, soprattutto rispetto all’euro. Oggi, questi signori come Soros, spesso impegnati nella beneficenza o nel finanziamento di movimenti per la democrazia e i diritti umani, hanno un forte interesse a vedere una riduzione del valore dell’euro rispetto al dollaro. In questo senso si può dire che hanno un interesse nazionale (statunitense) in un’era in cui il capitale non ha patria né colore politico. D’altra parte, esiste anche la prima potenza al mondo per dotazione di capitali sovrani – la Cina – che teme fortemente una improvvisa caduta del dollaro, dato che detiene una parte consistente dei titoli di Stato americani e che gli Usa costituiscono ancora un mercato rilevante per le loro esportazioni.
In breve: il sistema monetario internazionale, fondato sul dollar standard, cioè su una valuta nazionale diventata moneta di riserva internazionale, è entrato irreversibilmente in crisi, ma non è chiaro come e quando verrà sostituito. Per la verità esiste già un progetto abbastanza definito che è sostenuto dai Bric (Brasile, Russia, India e Cina) che punta a una nuova moneta di riserva internazionale, il cui valore verrebbe dato dalla media ponderata delle valute più forti. Insomma, una sorta di Ecu degli anni ’90, una moneta virtuale che serva come unità di conto per gli scambi internazionali. Ovviamente gli Stati Uniti sono assolutamente contrari e si batteranno fino in fondo per evitare di perdere il “signoraggio del dollaro”, cioè il privilegio di emettere cartamoneta a volontà, e quindi permettersi di farsi finanziare – come hanno fatto dalla metà degli anni ’70 a oggi – il disavanzo della bilancia commerciale dal resto del mondo. Secondo alcune stime, per riportare in pareggio la bilancia commerciale Usa il popolo nordamericano dovrebbe ridurre i propri consumi del 30-35% e svalutare di almeno altrettanto il dollaro. Quale presidente o governo Usa potrà accettare questa “decrescita infelice”?
Pertanto, assisteremo per diversi anni al braccio di ferro tra il governo Usa e le altre potenze economiche mondiali prima che si arrivi a un accordo per un nuovo ordine monetario internazionale fondato su una moneta “globale” che non appartiene a nessuno stato o confederazione di stati. Il consolidamento o lo sfaldarsi dell’area euro potrà accelerare o frenare questo processo, essendo la seconda valuta forte al mondo in questo momento, fino a quando il governo cinese non abbandonerà il controllo politico sulle quotazioni dello yuan renminbi. Proprio la Cina ha in mano le carte giuste per vincere la partita e decidere tempi e modalità di questa transizione, attraverso una riduzione progressiva degli investimenti in titoli di stato a stelle e strisce, una riduzione dell’export diretto in nordamerica ed un aumento dei consumi interni. Come è nello stile dei governi cinesi, il colpo finale al dollaro sarà assestato solo quando arriverà il momento giusto per farlo, ma preparando fin da ora l’alternativa.
La fine del dollar standard non è un incidente di percorso o un mutamento tecnico nella sfera monetaria, ma segna materialmente la fine dell’egemonia Usa sul mondo. Anche la via della “guerra permanente” che finora ha mantenuto artificialmente in vita il dollaro non è più praticabile, sia per i costi insostenibili, sia per l’accumularsi di insuccessi clamorosi (dall’Iraq all’Afghanistan e alla Libia).
Il nuovo ordine monetario internazionale che si profila all’orizzonte rappresenta la traduzione simbolica dei nuovi rapporti di forza esistenti nell’economia capitalistica globalizzata, e in qualche modo rappresenta anche un riequilibrio di poteri tra occidente e resto del mondo. Inoltre, con la fine del dollar standard verrà bloccata la continua immissione di liquidità nel sistema finanziario mondiale, causa prima delle “fluttuazioni giganti” , delle crisi ricorrenti e della speculazione sui prezzi dei beni primari che tanti danni sta producendo alle popolazioni più povere, a partire da quelle del sud del mondo. Certo, non basterà a ridurre drasticamente la massa finanziaria che incombe sull’economia reale, stimata come pari a 8-10 volte la ricchezza materiale mondiale, ma è comunque un primo passo. Altri e più consistenti bisognerà farne in direzione di un obiettivo prioritario per il nostro tempo: disarmare la finanza. Il che significa riprendere in mano la questione dell’uso e del ruolo del denaro, riportare questo strumento alla sua utilità originale di unità di conto e intermediario negli scambi.
Infatti, per garantirsi che questa fase di “transizione monetaria” non si concluda soltanto con una nuova, sia pure auspicabile, moneta di riserva internazionale, bisogna riprendere con forza il tema della sovranità monetaria, a partire dal livello locale. Accanto alla moneta globale e alle monete che governano le mesoregioni in cui andrà ad articolarsi l’economia mondiale, occorre scommettere seriamente sull’uso – già sperimentato da tempo – di monete locali complementari. Vale a dire: per bilanciare il peso e l’egemonia della moneta globale abbiamo bisogno di migliaia di monete locali complementari, a circolazione territorialmente determinata, sotto il controllo dell’ente locale. Questo strumento permetterà, nelle aree più deboli e con enti locali più indebitati, di poter continuare a mantenere in vita servizi essenziali e parti vitali dell’economia locale. Non si tratta né di utopie neoproudhoniane, né di ritorni ad impossibili regimi autarchici. Si tratta di ridurre la distanza abissale tra il governo del denaro e la vita e i bisogni dei cittadini e dei lavoratori. Per capirci: immaginate se le città della Grecia, i cui bilanci comunali sono ormai ridotte al collasso, potessero usare – accanto all’euro – monete locali complementari per i bisogni essenziali della popolazione, sicuramente il peso dell’iniqua manovra finanziaria governativa sarebbe più sopportabile.
È una questione di vitale importanza che riprenderemo in altra occasione. In questa sede vogliamo solo affermare che la sovranità monetaria, insieme a quella alimentare ed energetica, costituisce uno dei pilastri su cui edificare una «democrazia reale» che oggi esiste solo nei nostri sogni.
Fonte: Il Manifesto
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione