Di Manlio Dinucci
Il nostro cuore gronda sangue quando pensiamo che uno dei vanti di questo governo era di non aver mai messo le mani nelle tasche dei militari: così il presidente del consiglio ha annunciato drastici tagli al bilancio della difesa. La manovra anti-deficit, precisa il ministro dell'economia, può essere attuata riducendo soprattutto la spesa militare, salita a 25 miliardi di euro annui, l'equivalente (in denaro pubblico) di una grossa finanziaria. Occorre per questo un impegno di coesione nazionale, sottolinea il presidente della repubblica, che ha subito emanato il decreto-legge. Quale supremo garante della Costituzione, egli aveva già rilevato che l'impegno militare italiano in Libia e Afghanistan viola il principio fondamentale dell'articolo 11. Il decreto-legge stabilisce il ritiro delle nostre forze e basi dalla guerra di Libia, già costata all'Italia oltre un miliardo di euro, più svariati miliardi di danni collaterali alla nostra economia. Alla buonora, ha esclamato il segretario del maggiore partito di opposizione, contrario a quella che definisce una guerra di stampo coloniale. Verrà ritirato anche il contingente italiano in Afghanistan. Si risparmierà così un miliardo e mezzo di euro annui, più altri costi: 25 milioni per i militari dislocati per la missione negli Emirati arabi uniti e in Bahrein, più 80 milioni per i contratti di assicurazione e trasporto e per la realizzazione di infrastrutture. L'aeronautica contribuirà ai sacrifici imposti dalla manovra rinunciando ai 131 caccia F-35, il cui costo previsto di 15 miliardi di euro continua a lievitare. La marina vi contribuirà rinunciando ad altre portaerei tipo la Cavour (costo un miliardo e mezzo), a navi da assalto anfibio della classe San Giorgio (mezzo miliardo l'una) e fregate Fremm (350 milioni l'una). Queste misure, rilevano le commissioni difesa della Camera e del Senato, sono necessarie anche perché tali sistemi d'arma sono concepiti non per la difesa della patria, ma per la proiezione di potenza. Altri tagli verranno proposti dalla commissione parlamentare d'inchiesta che sta indagando sulla «cooperazione allo sviluppo a dono», gestita dal ministero degli esteri in funzione delle missioni militari. Ad esempio, nel 2011 si spendono oltre 25 milioni di euro per la stabilizzazione in Iraq e Yemen, mentre l'Italia viene sempre più destabilizzata dai tagli alle spese sociali. Altri 36,5 milioni vengono spesi nel 2011 in Afghanistan, in particolare per sostenere le piccole e medie imprese alla frontiera col Pakistan, mentre in Italia scarseggiano i fondi per sostenere le pmi. Questi e molti altri sprechi finiranno con il decreto-legge che stabilisce il ritiro dall'Afghanistan. Lo voterà anche il senatore Marco Perduca (Pd), che prima aveva invece votato per il rifinanziamento della missione. Ritirerà di conseguenza la proposta, fatta il 26 luglio, di «trasformare l'oppio prodotto in Afghanistan in medicinali analgesici, da utilizzare per far fronte all'emergenza umanitaria in Somalia». Peccato, andrà così perduta un'idea geniale per anestetizzare l'opinione pubblica contraria alla guerra.
P.S. Si avvertono i lettori che, mentre le posizioni politiche descritte sono capovolte rispetto alla realtà, le cifre della spesa militare sono invece quelle reali.
Da il Manifesto
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