Giorgio Jackson, lo studente che fa tremare La Moneda

ago 21, 2011 1 comments

Di Daniele Zaccaria






Ha un nome che sembra lo pseudonimo di una vecchia rockstar di provincia: Giorgio Jackson. Mezzo italiano, mezzo britannico, ma tempra da cileno al 100%. Questo ragazzo di 24 anni, nato a Las Condes, periferia chic di Santiago, diplomato in uno dei migliori licei privati della capitale e studente modello alla facoltà di ingegneria dell’Università cattolica, sta diventando una fastidiosa spina nel fianco del presidente Sebastián Piñera e del suo governo conservatore, precipitati al minimo storico nelle percentuali dei popolarità (35%, mentre un anno fa dopo il mediatizzato salvataggio dei minatori di San José veleggiava intorno al 70%).
Assieme all’affascinante e combattiva Camilla Vallejo, è infatti il leader più popolare del movimento studentesco che da oltre due mesi sta scuotendo il Cile. E dire che inizialmente era guardato con estremo scetticismo, soprattutto perché proveniva dalla Feuc, un sindacato cattolico conosciuto per il suo moderatismo e la scarsa attitudine alla lotta. Non è il caso di Jackson che fin dal debutto nella militanza politica ha dimostrato di avere idee chiare, un rifiuto epidermico del compromesso politicista e una propensione ai fatti concreti piuttosto che alla fumosa demagogia da comizio studentesco: era una giovanissima matricola quando ha fondato Un techo para Cile, un’associazione che si occupa dell’emergenza casa a Santiago per le migliaia di senza tetto che vivono nella metropoli sudamericana e da allora si è sempre distinto per le sue grandi capacità organizzative nel mondo del sindacalismo universitario.
Così sono bastati pochi interventi nelle stracolme assemblee di inizio luglio e una magistrale partecipazione a Tolérancia Cero, il più seguito talk-show del Paese, per far cambiare idea ai suoi detrattori. Carismatico, preciso nell’esporre le sue rivendicazioni, pronto a replicare anche alle domande più insidiose, Jackson ha messo in mostra anche uno spiccato senso dello spettacolo: rispondendo a un giornalista che ironizzava sulla tenuta del movimento ha tirato fuori dalle tasche il celebre L’arte della guerra di Sun Tzu, citando la seguente frase: «Un esercito vittorioso vince ancora prima di iniziare a combattere».
E chi ha provato a speculare sulle differenze tra lui e Camilla Vallejo, la quale proviene dalle fila della sinistra radicale non ha avuto buon gioco; i due sono in ottimi rapporti, anzi si definiscono «buoni amici» e non hanno fin qui mai avuto dissensi sul come condurre il corpo a corpo con il governo. Come ha sottolineato Camillo Balestreros della Confederazione studenti cileni (Confech) «il ruolo di Giorgio è fondamentale per noi perché la scesa in campo delle università cattoliche ha dato forza e ampiezza a tutto il movimento».
Più fondi alla scuola pubblica, un accesso meno elitario all’Università e gratuità degli studi per le famiglie più povere, le poche ma semplice parole d’ordine della prima contestazione studentesca di massa dal 1990. Centinaia di migliaia di giovani che inondano le piazze del Paese, reclamano la riforma del sistema scolastico nazionale ereditato dalla giunta militare e gridano: “Y va a caer, y va a caer, la educación de Pinochet”. Il legame simbolico con la memoria della dittatura sembra essere il principale collante culturale di una generazione composta da ragazze e ragazzi in gran parte nati dopo la caduta del regime. «Il sistema deve cambiare adesso, non fa uno o due anni, ma adesso perché dobbiamo liberarci delle scorie del passato», tuona Jackson che chiede al governo di indire un referendum per riformare il sistema scolastico cileno e di inserire nella Costituzione il diritto all’istruzione.
Come scrive il quotidiano Que Pasa «sembra improbabile che il governo raccolga la proposta del referendum, ma negli ultimi mesi la vita di Giorgio Jackson ha spesso travalicato la cetegoria dell’improbabile».
Per il resto, nella quotidiana battaglia contro l’odiato Pinera, primo capo di Stato di destra dal 1990, i ragazzi delle scuole e degli atenei mettono in mostra un pragmatismo ammirevole e, come tutti i loro coetanei in ogni paese del mondo dal Cairo a Toronto, si organizzano sfruttando la tecnologia del nostro tempo: blog, socialnetwork, forum telematici. E’ anche grazie a questi tam-tam in rete che gli scioperi del 7 agosto e l’ultima mobilitazione di giovedì (oltre 100mila a Santiago) hanno riscosso un successo e una visibilità planetaria. Tanto che dalla stessa Moneda (il palazzo presidenziale), dopo gli arresti e la repressione poliziesca delle scorse settimane, giungono i primi segnali di cauta apertura. Come quello del ministro dell’Educazione Felipe Bulnes che propone di aumentare il budget destinato alle borse di studio, riducendo gli interessi di restituzione dei crediti dal 5 al 2%. Naturalmente gli studenti hanno rispedito al mittente una misura che reputano un misero contentino: «E’ l’intero sistema che deve essere riformato», ribadiscono Giorgio Jackson e Camilla Vallejo.
Uno slogan che ritornerà in piazza il prossimo 24 agosto, nuova giornata di scioperi e mobilitazioni in cui accanto agli studenti sfileranno anche i professori dei licei e delle università per provare a dare una spallata a uno degli ultimi rottami ereditati dal regime del colonnello Pinochet.

Da Liberazione

Commenti

  1. Ciao. Avevo la stessa età di Jackson quando nel 1984 scesi contro la riforma universitaria della ORRENDA FALCUCCI E I GOVERNI CRAXI GORIA.
    Quello fu l'inizio del tracollo dell'istruzione in Italia; l'idea era di disfarsi del sistema pubblico delle università perchè poco frequentate allora, poi piano piano scavare fino alla attuale lucida demolizione della scuola elementare.
    Noi protestammo, andammo a Roma più volte trascinando anche i liceali, e lo facemmo perchè eravamo i più grandi e quindi la mannaia governativa ci avrebbe colpito poco, stavamo per laurearci.
    Ma la manipolazione era fortissima e nessuno ci credette davvero.
    Ci si disperse.
    Io mi laureai e vidi il disastro successivo sia nelle università attualmente disseminate di docenti incapaci e sia nel mercato del lavoro che ancora non vuole né laureati né, ancora peggio, laureate.

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