Dieci anni dopo gli attentati dell'11 settembre, un'inchiesta per ripercorrere la genesi del mito, le storie degli scettici e la diffusione del dubbio di massa
Erano trascorsi pochi secondi dal crollo della seconda torre del World Trade Center, l'11 settembre di dieci anni fa. Una gigantesca nuvola piroclastica percorreva come una valanga le strade di Manhattan e inghiottiva centinaia di persone in fuga a piedi, incredule e sconvolte. Una patina di cemento polverizzato ricopriva quelle sagome e ogni altra cosa attorno.
Quel velo di polvere bianca sembrava attutire lo strazio delle sirene e delle urla, ma la skyline di New York era squarciata, il cuore della finanza mondiale in fiamme. A Manhattan andava in scena il reality show dell'apocalisse e tutti gli schermi del globo erano già sintonizzati. I solidi orizzonti di milioni di persone sembravano improvvisamente vacillare.
L'afasia dello stupore, però, dura poco, i guru del marketing mediatico lo sanno bene. I momenti in cui crollano le certezze sono preziosi per i manipolatori, ma solo a patto che riescano a fornire a caldo una spiegazione rassicurante degli eventi. Così, pochi secondi dopo il crollo della seconda torre del World Trade Center, l'11 settembre di dieci anni fa, era già il momento di rivelare l'arcano.
In diretta su Fox News, le parole di un sedicente testimone: "E poi ho visto crollare le torri, perlopiù a causa di un cedimento strutturale causato dalla grande intensità delle fiamme" (1).
E poco dopo, la voce dell'ex capo del dipartimento di New York per la gestione delle emergenze, Jerome Hauer, su Abc e Cbs, che escludeva la possibilità che a provocare i crolli potessero essere esplosivi piazzati nelle Torri Gemelle, per poi sostenere che un simile attentato "presenta di certo l'impronta digitale di Bin Laden" (2).
L'indagine sugli attentati era già conclusa il 13 settembre, con l'allora direttore dell'Fbi Robert Mueller che mostrava le fotografie di 19 dirottatori sauditi (3), e prefigurava la doverosa ritorsione contro il mandante degli attacchi, un altro saudita: l'invasione dell'Afghanistan.
Ma la cosiddetta versione ufficiale degli eventi dell'11 settembre è emersa solo quattro anni dopo, al termine dell'inchiesta della Commissione governativa, i cui atti e conclusioni sono stati divulgati in un libro di 571 pagine, che ben poche persone hanno letto. E del resto, il mondo era ormai irrimediabilmente cambiato; "L'America è stata attaccata da fondamentalisti islamici che odiano la nostra libertà" aveva detto l'allora presidente George W. Bush dal pulpito della National Cathedral di Washington DC, il 15 settembre 2001 (4). Quattro giorni dopo gli attacchi il mito era servito e, dato il luogo, consacrato. Da quel momento, mettere in discussione il dogma sarebbe stato un atto sacrilego.
Dieci anni dopo, la fiducia nell'infallibilità del mito resiste ostinatamente sui grandi media, che persistono a ignorare le domande sollevate dalla ricostruzione ufficiale, trovando nella categoria del "complottismo" una facile esca di dissuasione dal pensiero autonomo. Tuttavia, le voci critiche marginalizzate dall'informazione generalista hanno trovato spazi e pubblico sempre crescenti su internet, dove le verità ufficiali possono essere messe in discussione, e i miti, anziché decostruirsi, si riproducono. Lo spazio vuoto di Ground Zero, anti-icona contemporanea, è diventato un'arena dove competono identità e storiografie ormai inconciliabili, basate sulla condivisione più o meno critica dei miti. E' diventato un paradossale monumento alla memoria in cui, assieme allo spirito delle vittime, aleggiano migliaia di domande a cui nessuno ha mai dovuto rispondere.
Si trovano tutte su internet le questioni lasciate aperte dalla Commissione d'inchiesta sugli eventi dell'11 settembre 2001. Lasciando da parte i miti e le teorie, se si seguono le domande ci si imbatte nel Truth movement (5), il movimento per la verità sull'11 settembre.
Non si tratta di un'associazione con un quartier generale e un direttivo, ma di una rete che unisce diversi gruppi di professionisti: di ingegneri e architetti, docenti, giuristi, piloti (6), ufficiali delle agenzie di intelligence, politici, veterani e molti altri, ciascuno a modo suo impegnato nell'indagine su quegli eventi e nella divulgazione del dubbio di massa. Senza il loro contributo, non ci sarebbero state una commissione d'inchiesta e nemmeno una ricostruzione ufficiale.
Il Truth movement nasce dall'esperienza di quattro donne che non avrebbero mai immaginato di essere coinvolte in eventi incommensurabilmente più grandi di loro. Mentre l'America brancolava nel trauma collettivo per la violazione del suolo nativo, mentre la macchina dell'imperialismo Neocon scaldava i motori per quella che Cheney & Co. definirono un'occasione da sfruttare, Lorie, Mindy, Patty e Kristen si recavano a Washington in cerca di risposte concrete su come fossero morti i loro mariti, caduti l'11 settembre nelle torri del World Trade Center. La stampa le soprannominò Jersey Girls (7), e la loro vicenda è diventata un pezzo di storia americana, dell'America del terzo millenio.
(Domani la seconda puntata)
Da Peace Reporter
Quel velo di polvere bianca sembrava attutire lo strazio delle sirene e delle urla, ma la skyline di New York era squarciata, il cuore della finanza mondiale in fiamme. A Manhattan andava in scena il reality show dell'apocalisse e tutti gli schermi del globo erano già sintonizzati. I solidi orizzonti di milioni di persone sembravano improvvisamente vacillare.
L'afasia dello stupore, però, dura poco, i guru del marketing mediatico lo sanno bene. I momenti in cui crollano le certezze sono preziosi per i manipolatori, ma solo a patto che riescano a fornire a caldo una spiegazione rassicurante degli eventi. Così, pochi secondi dopo il crollo della seconda torre del World Trade Center, l'11 settembre di dieci anni fa, era già il momento di rivelare l'arcano.
In diretta su Fox News, le parole di un sedicente testimone: "E poi ho visto crollare le torri, perlopiù a causa di un cedimento strutturale causato dalla grande intensità delle fiamme" (1).
E poco dopo, la voce dell'ex capo del dipartimento di New York per la gestione delle emergenze, Jerome Hauer, su Abc e Cbs, che escludeva la possibilità che a provocare i crolli potessero essere esplosivi piazzati nelle Torri Gemelle, per poi sostenere che un simile attentato "presenta di certo l'impronta digitale di Bin Laden" (2).
L'indagine sugli attentati era già conclusa il 13 settembre, con l'allora direttore dell'Fbi Robert Mueller che mostrava le fotografie di 19 dirottatori sauditi (3), e prefigurava la doverosa ritorsione contro il mandante degli attacchi, un altro saudita: l'invasione dell'Afghanistan.
Ma la cosiddetta versione ufficiale degli eventi dell'11 settembre è emersa solo quattro anni dopo, al termine dell'inchiesta della Commissione governativa, i cui atti e conclusioni sono stati divulgati in un libro di 571 pagine, che ben poche persone hanno letto. E del resto, il mondo era ormai irrimediabilmente cambiato; "L'America è stata attaccata da fondamentalisti islamici che odiano la nostra libertà" aveva detto l'allora presidente George W. Bush dal pulpito della National Cathedral di Washington DC, il 15 settembre 2001 (4). Quattro giorni dopo gli attacchi il mito era servito e, dato il luogo, consacrato. Da quel momento, mettere in discussione il dogma sarebbe stato un atto sacrilego.
Dieci anni dopo, la fiducia nell'infallibilità del mito resiste ostinatamente sui grandi media, che persistono a ignorare le domande sollevate dalla ricostruzione ufficiale, trovando nella categoria del "complottismo" una facile esca di dissuasione dal pensiero autonomo. Tuttavia, le voci critiche marginalizzate dall'informazione generalista hanno trovato spazi e pubblico sempre crescenti su internet, dove le verità ufficiali possono essere messe in discussione, e i miti, anziché decostruirsi, si riproducono. Lo spazio vuoto di Ground Zero, anti-icona contemporanea, è diventato un'arena dove competono identità e storiografie ormai inconciliabili, basate sulla condivisione più o meno critica dei miti. E' diventato un paradossale monumento alla memoria in cui, assieme allo spirito delle vittime, aleggiano migliaia di domande a cui nessuno ha mai dovuto rispondere.
Si trovano tutte su internet le questioni lasciate aperte dalla Commissione d'inchiesta sugli eventi dell'11 settembre 2001. Lasciando da parte i miti e le teorie, se si seguono le domande ci si imbatte nel Truth movement (5), il movimento per la verità sull'11 settembre.
Non si tratta di un'associazione con un quartier generale e un direttivo, ma di una rete che unisce diversi gruppi di professionisti: di ingegneri e architetti, docenti, giuristi, piloti (6), ufficiali delle agenzie di intelligence, politici, veterani e molti altri, ciascuno a modo suo impegnato nell'indagine su quegli eventi e nella divulgazione del dubbio di massa. Senza il loro contributo, non ci sarebbero state una commissione d'inchiesta e nemmeno una ricostruzione ufficiale.
Il Truth movement nasce dall'esperienza di quattro donne che non avrebbero mai immaginato di essere coinvolte in eventi incommensurabilmente più grandi di loro. Mentre l'America brancolava nel trauma collettivo per la violazione del suolo nativo, mentre la macchina dell'imperialismo Neocon scaldava i motori per quella che Cheney & Co. definirono un'occasione da sfruttare, Lorie, Mindy, Patty e Kristen si recavano a Washington in cerca di risposte concrete su come fossero morti i loro mariti, caduti l'11 settembre nelle torri del World Trade Center. La stampa le soprannominò Jersey Girls (7), e la loro vicenda è diventata un pezzo di storia americana, dell'America del terzo millenio.
(Domani la seconda puntata)
Da Peace Reporter
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