Di Michele Fabiani
Subito dopo la condanna a 3 anni e 8 mesi per associazione sovversiva
(il Pm ne aveva chiesti 9), ho dichiarato che il processo di cui sono
stato vittima insieme ad altri tre giovani spoletini mi ricordava
quello a Socrate. Vorrei chiarire meglio cosa intendevo dire.
Ovviamente non volevo affatto paragonarmi a Socrate, né come filosofo
né come vittima. Piuttosto, come ho spiegato sin da subito, sono i
miei giudici a ricordarmi i giudici di Socrate.
Apro una breve parentesi di carattere politico generale. La politica
italiana, con il diffondersi del berlusconismo e in generale con la
corruzione, il clientelismo, il delinquentismo della classe dominante,
ha vissuto nella cosiddetta Seconda Repubblica un fenomeno strano di
polarizzazione e mistificazione allo stesso tempo. Quella che un tempo
era la “lotta di classe” fra oppressi e oppressori, fra sfruttati e
sfruttatori, con il crollo della sinistra tradizionale in ambito
interno ed internazionale, è diventata una lotta fra giudici e
politici. Questa mistificazione ha avuto come effetti il diffondersi
di partiti giustizialisti di sinistra (un ossimoro fino a poco tempo
fa) che vedono i giudici come eroi e come Salvatori della Patria
contro il Tiranno dell’illegalità. Eppure non è la prima volta che
dei “combattenti” contro la tirannia si trasformano in nuovi
tiranni. Anzi, da anarchico quale sono, potrei dire che questa è una
costante: sempre chi conquista il potere finisce per utilizzarlo in
maniera autoritaria tanto quanto i propri predecessori.
Per esempio, ad Atene nel 399 a.C. . La polis si era appena liberata
dal cosiddetto regime dei Trenta Tiranni. La democrazia restaurata era
travagliata da tensioni interne, da un difficile rapporto con Sparta
che aveva appena vinto la guerra e che era stata lo “sponsor” della
tirannia, da una profonda frustrazione e voglia di rivincita. Il
popolo, democraticamente – se così si può dire – pretendeva un
capro espiatorio. Venne quindi denunciato Socrate, che Platone definì
l’uomo più onesto fra quelli del suo tempo. Nonostante Socrate si
fosse opposto e non avesse voluto partecipare ad alcune azioni dei
Trenta, venne comunque condannato a morte. Questo crimine contro la
filosofia – come lo definirà Aristotele – ci ricorda molto da
vicino quanto avviene nella nostra società democratica. Non tanto per
il parallelismo fra Socrate e i nostri intellettuali perseguitati (non
ce ne sono molti), quanto piuttosto per il parallelismo fra i giudici
che hanno condannato Socrate e i nostri. I giudici di Socrate erano
dei democratici, dei combattenti contro la tirannia dei Trenta. Anche
il Pm che ha condotto l’inchiesta e poi il processo contro di me,
Manuela Comodi, è un Pm democratico, una “combattente” contro la
tirannia. E’ al vertice dell’Anm dell’Umbra, il sindacato
focosamente anti-belusconiano dei magistrati. Come i giudici
dell’inizio del IV secolo a.C. erano nemici dei Trenta Tiranni e
nondimeno condannarono ingiustamente Socrate, così la Comodi da
sindacalista dell’Anm combatte gli anarchici umbri. Come è
possibile che un tale paradosso continui a ripetersi nel corso dei
secoli? Mi permetto di citare alcune espressioni che il Pm Comodi ha
usato in aula il giorno delle repliche, poche ore prima della
sentenza. Espressioni che forse, oltre a far arrabbiare i lettori di
“micropolis” o del “manifesto”, dovrebbero far infuriare gli
elettori di centrodestra e i berlusconiani più sfegatati. Il Pm Comodi
è arrivata a dire nella sua arringa conclusiva che le argomentazioni
della Difesa le ricordavano gli slogan della propaganda per il
cosiddetto “giusto processo”. A parte il fatto che è risibile
l’accusa nei confronti degli avvocati di “pericolosi” anarchici
insurrezionalisti di usare slogan berlusconiani, ma la cosa più grave
è un’altra: la magistratura italiana sta diventando così estremista
e faziosa, che dare del berlusconiano all’imputato è diventata sul
piano retorico un’arma di convincimento nei confronti della Corte!
Da quando ho 14 anni io manifesto contro Berlusconi – l’ultima
occasione è stata la straordinaria protesta del 14 dicembre –
nonostante ciò sono rimasto francamente agghiacciato dalle
argomentazioni del Pm. Se il Governo facesse davvero la commissione
di inchiesta nei confronti dei giudici politicizzati, e se non fosse
solo l’ennesimo escamotage per difendere il premier dai sui problemi
privati, credo che dovrebbe partire dal nostro processo e magari
proprio da questa frase. Nonostante il nostro Pm sia così faziosamente
anti-berlusconiana da accusare gli imputati di mutuare slogan dalla
campagna sul “giusto processo”, come se questa fosse un’arma che
usata davanti ad un altro giudice (si presuppone altrettanto fazioso)
possa servire per convincerlo a schierarsi con la sua tesi, bene
nonostante ciò, con estremismo uguale e contrario si è accanita
contro gli anarchici umbri.
La mia inchiesta non è né l’unica né la più grave. Invece che
citare sempre il mio caso, cosa di cui francamente sono stanco visto
che non amo affatto fare del vittimismo, vorrei parlare di un mio
coimputato: Damiano Corrias. Damiano era accusato solo di aver fatto
una scritta su un muro, malgrado ciò il Pm ha chiesto nei suoi
confronti ben 6 anni di carcere. Non è retorica la mia, non è uno
slogan difensivo semplicistico. Damiano in tutto il processo aveva
solo due capi di imputazione: l’associazione sovversiva e la scritta
sul muro. Praticamente era accusato di aver
fatto parte di un’associazione terroristica, la quale gli aveva
affidato un unico compito: scrivere su un muro. Un’accusa davvero
ridicola. Infatti Damiano è stato assolto, mentre a me e ad Andrea
Di Nucci è andata peggio. Ma io mi chiedo: che coscienza ha una donna
che chiede 6 anni di galera per un ragazzo di poco più di 20 anni,
accusato solo di aver fatto una scritta su un muro? Riesce a dormire
serena la notte? Qui c’è ben altro che un bravo servitore dello
Stato che sbaglia.
Purtroppo questa nostalgia per il tintinnio di manette sta
commuovendo molti anche a sinistra, complice un generale crollo
ideologico e quindi filosofico, prima che politico, che ha portato
alla ricerca veloce di nuovi idoli. Non avendo più i maestri sacri del
comunismo da venerare, questa parte della sinistra si è gettata in
ginocchio di fronte alla semplificazione giustizialista. Si è passati
dal Capitale al Codice Penale; da Marx, Lenin e Mao a Di Pietro,
Saviano e Travaglio. Purtroppo Manuela Comodi, non è un caso isolato
in Italia. Un’eroina, ben più famosa, dell’opposizione alla
tirannia che poi diventa persecutrice dei comunisti la troviamo nel
covo delle “toghe rosse”, nel Tribunale di Milano, a gestire il
più importante di tutti i processi contro il premier: si tratta di
Ilda Bocassini. La stessa che quando non è impegnata nella lotta alla
tirannia, si mette ad arrestare giovani universitari, operai della
Fiom, pensionati, accusandoli di costituire il nucleo delle “nuove
Br”.
Allora io credo che occorra andare oltre la provincialità del mio
processo. Penso che qui si apra un problema filosofico generale:
occorre riscrivere una nuova, rivoluzionaria, filosofia della politica
adeguata ai giorni nostri, che ci porti fuori dalla crisi ideologica
degli ultimi anni e ci salvi da tentazioni demagogiche. Una
riflessione parallela corre sul piano politico. Attenzione: questo
“nuovo Cnl” che va da Vendola a Fini, da Di Pietro a Bersani,
dalla Lorenzetti alla Comodi potrebbe generare mostri. Giolitti era
un corrotto e un corruttore, un po’ come Berlusconi.
Dopo Giolitti però è arrivato Mussolini
Pubblicato su Micropolis
Da Anarchaos
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