Mentre sul piano politico Israele valuta l’opzione di annullare gli Accordi siglati nel 1993, sul piano militare prepara le forze armate a disperdere le possibili manifestazioni: tutto in vista dell’iniziativa per il riconoscimento di uno Stato palestinese alle Nazioni Unite, a settembre.
Gerusalemme, 25 Luglio 2011 – Nena News – La conferma è arrivata questa mattina dall’ufficio del premier israeliano Natanyahu: il Consiglio di Sicurezza Nazionale starebbe discutendo, tra le varie ipotesi, la “cancellazione” degli Accordi di Oslo, in risposta all’iniziativa dell’Autorità Palestinese di chiedere il riconoscimento di uno Stato palestinese sui confini del 1967, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il prossimo settembre. Lo riporta il quotidiano Ha’aretz,sebbene tra le varie minacce di azioni unilaterali annunciate dalle autorità israeliane, quella di “stracciare” gli Accordi di Oslo, un mutuo riconoscimento siglato tra il 1993 e il 1995, non sarebbe l’opzione prioritaria, anzi addirittura “sconsigliata” dal Ministero della Difesa. Come dichiarato dallo stesso Barak a marzo, e ricordato da Noam Chomsky in un recente articolo, l’iniziativa palestinese può essere considerata al pari di uno “tsunami” per Israele. I palestinesi infatti, potrebbero usare la risoluzione ONU, nel caso fosse approvata, per intraprendere una battaglia legale alla Corte Internazionale di Giustiza; anche in vista di questo risvolto, da mesi Israele accusa l’ANP di “rinunciare ai negoziati”, bollando l’obiettivo all’ONU a più riprese come “un tentativo di de-legittimare Israele” , “una dichiarazione di guerra”, “un crimine”. Su un altro fronte, quello diplomatico, ha intrapreso un’intensa campagna globale per persuadere i governi del mondo – soprattutto quelli europei, tra i quali molti sono gli indecisi – a votare no alla risoluzione: il Ministero degli Affari Esteri da mesi ha istruito i suoi rappresentanti diplomatici nel mondo a mobilitarsi contro la campagna palestinese.
Sebbene vi siano – anche tra chi sostiene l’autodeterminazione del popolo palestinese - dei detrattori dell’iniziativa dell’ANP in primis perché il riconoscimento sarebbe quello di uno stato geograficamente e politicamente frammentato, dove permane l’occupazione israeliana, dove non si è ancora raggiunto un accordo di unità nazionale e con una ipotesi che “escluderebbe” i profughi, sono in molti a riconoscere il significato politico e simbolico di questo riconoscimento, accolto finora da oltre 120 paesi in tutto il mondo.
Sebbene l’opzione della soppressione degli Accordi di Oslo sia stata nominata dal Ministro Lieberman in un suo recente incontro con l’Alto Rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, Catherine Ashton, sembra altamente improbabile immaginare che da un giorno all’altro accordi relativi a sicurezza, economia e infrastrutture, che hanno giovato alla stessa Israele che ha utilizzato Oslo come un paravento per un apparente processo di pace, possano sfumare nel nulla. Come molti analisti e storici ormai hanno documentato, è stato proprio il dopo-Oslo e quindi la delega alla dirigenza palestinese del controllo e dell’amministrazione di una parte di territorio (limitato) a consentire a Israele di portare avanti negoziati che non hanno condotto ad alcun risultato e parallelamente una colonizzazione sfrenata sul territorio palestinese.
Da parte palestinese, intanto, i preparativi continuano: una bozza di testo della risoluzione sarà discussa il prossimo 4 agosto tra rappresentanti dell’ANP, di Egitto e Arabia Saudita nel corso di un incontro a Doha, in Qatar.
In vista della richiesta di un riconoscimento di uno Stato palestinese a settembre, aumentano anche i preparativi interni ad Israele per far fronte a possibili manifestazioni, non solo in Cisgiordania ma anche lungo le linee di armistizio tra Siria e Israele, sulle Alture del Golan sotto occupazione da 44 anni, come già avvenuto in occasione delle celebrazioni dell’annivesario della Nakba lo scorso 15 maggio. A riferire delle nuove misure che l’IDF (le forze armate israeliane) starebbe adottando, è stato il Jerusalem Post venerdì. Il sito del quotidiano israeliano cita “nuove regole di ingaggio” per l’esercito – e soprattutto per i “tiratori scelti” – e l’uso di armi “non-letali” per disperdere le possibili proteste: un nuovo sistema per gli M-16 semi-automatici che consentirebbe di sparare proiettili da 0,22 mm anziché 5,56, in grado di ferire ma non di uccidere. In arrivo anche un nuovo sistema tecnologico chiamato “Scream”, un dispositivo che emette esplosioni sonore tanto da lasciare i manifestanti in preda a nausea e vertigini e la “Bomba Skunk”, un dispositivo che contiene liquido “puzzolente” simile a quello già usato per disperdere le manifestazioni dei comitati popolari in Cisgiordania.
Sempre secondo il JPost, attualmente nella base di addestramento di Lachish si starebbero concentrando le prove generali delle unità militari, che saranno schierate lungo i confini con Libano e Siria. Nena News
Da Nena News
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