IN AFGHANISTAN COME IN NORVEGIA VALE LA TEORIA DEL CRIMINALE N.A.T.O.
In questi ultimi tre anni è stata potentemente veicolata la fiaba mediatica tesa a spacciare il berlusconismo per una sorta di peronismo all'italiana, cioè un populismo anomalo rispetto agli standard occidentali. Berlusconi ci è stato presentato come l'alfiere di una indipendenza nazionale "sostenibile", contro l'occidentalismo osservante della sinistra e l'invadenza dei poteri forti internazionali. C'è in effetti tutto un presunto "antiberlusconismo" che contribuisce a rafforzare questo mito, come risulta dall'insistenza del quotidiano "la Repubblica" nel sottolineare il carattere "populista e plebiscitario" del regime berlusconiano; persino adesso che Berlusconi appare in pieno tracollo elettorale.
La fiaba non è stata propinata soltanto in Italia, anzi, c'è da pensare che il "berlusconismo rivoluzionario e terzomondista" costituisca in realtà una panzana confezionata nelle solite centrali di guerra psicologica della NATO. Nel 2009 un film di produzione tedesco-americana, "The International", ci presentava il personaggio di un imprenditore e politico italiano di area berlusconiana (interpretato dall'attore Luca Barbareschi, allora berlusconiano ancora senza pentimenti e ripentimenti), che finisce ammazzato a causa della sua ostilità al potere bancario, contro il quale pronuncia tesi che riecheggiano quelle di Ezra Pound.(1)
Che il governo Berlusconi sia stato il più fedele esecutore delle direttive del Fondo Monetario Internazionale, non ha oscurato questo alone sovversivo, tanto che il quotidiano berlusconiano "Il Giornale" ospita abitualmente i contributi di coloro che denunciano il signoraggio bancario. La forza di questa fiaba è consistita nel fatto di non avere la pezza d'appoggio di alcun dato di fatto, di alimentarsi cioè di sola propaganda, ripetuta con pura ottusità o semplice malafede, tanto da dar vita al fenomeno di una sorta di blog-berlusconismo "rivoluzionario".
Anzi, il berlusconismo "terzomondista e rivoluzionario" si propone come il più coerente oppositore nei confronti di quanto deciso dallo stesso governo Berlusconi. La recentissima uccisione di un altro militare italiano in Afghanistan ha suscitato la "rabbiosa" reazione del leghista Calderoli, come se egli non facesse parte del governo che ha portato la presenza militare italiana in Afghanistan al suo massimo storico: quattromiladuecento militari, cioè l'impegno più massiccio possibile, date le attuali risorse militari italiane. La rabbia della Lega è apparsa inoltre piuttosto spenta, forse perché la maggior parte dei caduti sono di origine meridionale; quindi, alla fine, il voto leghista al rifinanziamento della missione militare in Afghanistan non è mancato all'appuntamento. Tanto c'è sempre Napolitano che corre in soccorso del governo, sgravandolo dalle responsabilità. In realtà, la crescita della presenza militare italiana in Afghanistan non poteva che comportare, come diretta conseguenza, l'aumento del numero dei morti in battaglia. Ed in effetti così è stato.(2)
Agire da servi ossequienti della NATO, lanciando di tanto in tanto lamentele generiche e senza effetto, rappresenta un modo mediaticamente efficace per sostenere tutte le parti in commedia. Si è andati quindi ben oltre l'ipocrisia, praticando una mistificazione sistematica che ha finito per convincere una parte consistente dell'opinione pubblica che uno yes-man della NATO e del FMI sia, almeno in pectore, un dissidente ed un corpo estraneo rispetto al sistema occidentale. Ad alcuni pare troppo semplice supporre che Berlusconi sia esattamente il cretino che sembra, e che sia divenuto inamovibile solo perché i dirigenti del FMI e della NATO si sono assuefatti ed impigriti ad avere a che fare con uno talmente inetto che non gli pone mai il problema di contrattare e mediare. Ma qualche volta la verità è semplice.
La partecipazione militare italiana all'aggressione contro l'Afghanistan, ha anche altre implicazioni che i nostri disciplinatissimi media si guardano bene dal notare. Sulla questione della produzione e del traffico dell'oppio afgano c'è da rilevare che, all'inizio del mese di marzo scorso, la Russia ha cominciato a rompere quel clima di omertà internazionale che impediva di contestare alla NATO il paradosso di una presenza militare occidentale che ha portato sia la produzione che il traffico di oppio a livelli record. Per voce del suo responsabile dell'antidroga, Ivanov, la Russia lamenta di essere diventata la prima destinataria del traffico e, con ipocrisia diplomatica, si limita a rilevare che la NATO non fa assolutamente nulla per eradicare le colture di papavero da oppio; persino il recente, e lieve, calo di produzione sarebbe dovuto esclusivamente a motivi climatici ed ambientali.(3)
Di fatto, circolano dall'ultimo aprile su internet le foto di soldati USA intenti a pattugliare campi di papavero, ma più con l'atteggiamento di proteggerli che di volerli distruggere. La versione ufficiale, che vorrebbe scaricare sui Talebani l'intera responsabilità della coltivazione e del traffico, appare sempre più irrealistica.(4)
Ogni volta che l'invasione NATO dell'Afghanistan è stata indicata come una guerra dell'oppio, non sono mancate reazioni di stampo "benaltrista", tendenti a ritenere che un'impresa militare di tali proporzioni non possa essere motivata da obiettivi così miseri. In realtà, neppure le due guerre dell'oppio che la Gran Bretagna dichiarò alla Cina nel corso dell'800 potrebbero risultare immuni da obiezioni del genere. Anche in quel caso gli obiettivi coloniali erano molto più vasti, ma sta di fatto che il business dell'oppio rappresentava comunque il motore di tutta l'operazione. Tutti gli Stati colonialisti hanno lucrato sul traffico di oppio ed, in tal modo, si sono pagate le spese delle loro guerre coloniali; ma i Britannici e gli Statunitensi sono riusciti a costruire un vero e proprio sistema coloniale basato sulla droga.
L'aggressione della NATO contro l'Afghanistan si è immediatamente configurata anche come un'aggressione contro il Pakistan, in vista di un probabile tentativo di accerchiamento della Cina. Ma le guerre coloniali non possono basarsi soltanto su obiettivi affaristici proiettati nel tempo, in quanto queste guerre devono risultare immediatamente lucrative. Il bilancio attuale, ovviamente, non va fatto rispetto alle casse esauste del governo federale USA, ma in base ai crescenti profitti delle multinazionali statunitensi. Il colonialismo è l'effetto di un intreccio tra militarismo e finanza; e la finanza consiste a sua volta in un intreccio di business legale ed illegale. Se si tiene conto di ciò, il business dell'oppio gestito dal cartello militar-finanziario NATO/FMI, risulta del tutto plausibile.
La NATO si fa trovare sempre sul luogo del delitto, ma è sempre pronta a scaricare tutte le colpe sul nemico. Del resto i dipartimenti di Psywar servono proprio a fabbricare false notizie, ed i media sono tutti contenti di diffonderle. Non è detto però che ciò basti per rendere la NATO immune da continui e fondati sospetti. Non a caso, anche in occasione della recentissima strage in Norvegia è sorta l'ipotesi di una "Gladio" norvegese, cioè di una destabilizzazione interna di marca NATO, come quella che ha insanguinato l'Italia dalla fine degli anni '60.
(1) http://www.youtube.com/watch?v=ZgzgZlcNm_M
(2) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-02/4200-soldati-italiani-afghanistan-122616.shtml?uuid=AaYZNlkD
(3) http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://rt.com/politics/russia-opium-afghanistan-nato/&ei=X5EtTo-BA4KBOsjiwd0K&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=2&ved=0CCgQ7gEwATgK&prev=/search%3Fq%3Dafghanistan%2Bnato%2Bopium%26start%3D10%26hl%3Dit%26sa%3DN%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26biw%3D960%26bih%3D487%26prmd%3Divns
(4) http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://publicintelligence.net/more-photos-of-usnato-troops-patrolling-opium-poppy-fields-in-afghanistan/&ei=MZQtTpKoD8GdOuGHzd0K&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=2&sqi=2&ved=0CDIQ7gEwAQ&prev=/search%3Fq%3Dopium%2Bafghanistan%2Bnato%2B2011%26hl%3Dit%26rlz%3D1R2ACAW_it%26biw%3D960%26bih%3D487%26prmd%3Divns
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